(EN)
POLENTA
Today being a farmer is a profession or perhaps a personal choice. In the past, almost everyone was, voluntarily or involuntarily, a farmer as people lived on the products of the land. The work was hard and mainly manual: it required a substantial physical effort by everyone. Despite this amount of effort, that job was very different from what it nowadays and had a more significant and higher value, which has been lost today. In fact, back in those days there was much more solidarity and collaboration between people. The relationships between people were genuine, frank, sincere. You could really trust each other. And everyone helped each other since there were a lot of fields to work on. Everyone offered and received honest, almost fraternal help. Collecting, pruning, harvesting, sowing were all collective experiences. In particular, sowing corn was a real feast for me.
The sowing day began very early, just at the first light of dawn. This was to make the most of the daylight and to work in the fresh air. At 4 in the morning, the men were already outside with their oxen equipped with ploughs to prepare the ground. Shortly after that followed the women who, equipped with hoes, sowed corn. With the scraper, small basins were opened into the field and three or four corn kernels were thrown. Consequently, three or four seedlings appeared per hole and it was, therefore, necessary to "select" the best, strongest and most robust ones. This operation, called in dialect “sc'iarare" (literally lighten, thin out) consisted of removing the smallest plants leaving the more robust ones.
Once ripe, the corn was harvested by hand. It process was the following: the men collected the panicles (panoce) while the women removed the dry leaves around them (scartosse). Then the men shelled the cobs to extract their kernels and discarded the cob (totano) with special crank machinery. Corn kernels were transported to the mill to be ground and transformed into flour. Corn flour was worth gold: those who had it were fortunate. It was brought home in large jute bags which were then kept in the barn. I remember poor people who passed through our house looking for something to eat. In those cases, that my mother used corn flour to help them. They would put it in a worn-out sack and take it home to make polenta.
The polenta was made hot and fragrant. Once it was poured from the cauldron, it was spread out on a round wooden board with a handle, called panaro. The flavour, the perfume, the taste of the polenta did not come only from corn, but also from the hard work it took to bring it to our table.
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INGREDIENTS:
. 1 lt Water
. 400 gr Corn Flour
. 1 tbsp Rock Salt
PREPARATION:
1. In a pot, bring the water to boil.
2. Add the flour little by little, constantly stirring with a whisk.
3. Once all the flour has been poured, continue mixing for another 5 minutes.
4. Cover with the lid.
5. Turn down the heat and let it cook for an hour.
Notes:
1. Depending on the quality of the flour grinding, you can obtain a thicker or softer polenta. Polenta can be enjoyed extraordinarily dense and hard as in Friuli Venezia Giulia, or smooth and creamy as in Veneto. To you, the choice.
2. Once the polenta is cold, cut it into slices and roast it in a pan. We call it połenta blustołà. To you the choice.
Enjoy your meal!
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(IT)
POLENTA
Oggi quello dell’agricoltore è un mestiere, una professione o forse una scelta personale. In passato quasi tutti erano, volontariamente o involontariamente, degli agricoltori perché si viveva dei prodotti della terra. Il lavoro era duro e prevalentemente manuale: richiedeva un enorme sforzo fisico da parte di tutti. Nonostante questo carico di fatica, quel lavoro era ben diverso dall’attuale e aveva un valore maggiore, superiore, che oggi si è perso. Infatti, a quei tempi c’era molta più solidarietà e collaborazione tra le persone. I rapporti tra le persone erano veri, schietti, sinceri. Ci si poteva fidare davvero l’un dell’altro. E tutti si aiutavano visto che c’erano molti terreni da lavorare. Tutti offrivano e ricevevano un aiuto onesto, quasi fraterno. Il raccolto, la potatura, la mietitura, la semina, erano tutte esperienze collettive. In particolare, la semina del mais era una vera e propria festa per me.
Il giorno della semina iniziava molto presto, giusto alle prime luci dell’alba. Questo per sfruttare al massimo la luce del giorno e per lavorare con il fresco. Alle 4 del mattino gli uomini erano già fuori con i loro buoi attrezzati da aratri per preparare il terreno. Poco dopo seguivano le donne che, munite con delle zappe, seminavano il mais. Con la zappa si aprivano delle piccole conche nel terreno dove si gettavano tre o quattro chicchi di mais. Spuntavano di conseguenza tre o quattro piantine per buco ed era quindi necessario “selezionare” quelle migliori, più forti, più robuste. Questa operazione, detta in dialetto “sc’iarare” (letteralmente schiarire, sfoltire) consisteva nel rimuovere le piantine più piccole lasciando quelle più robuste.
Una volta giunto a maturazione, il mais veniva raccolto a mano. Si procedeva nel seguente modo: gli uomini staccavano le pannocchie (panoce) mentre le donne rimuovevano le foglie secche attorno ad esse (scartosse). Poi gli uomini sgranavano le pannocchie per estrarne i cariossidi e scartare il tutolo (in dialetto totano) con una speciale macchinario a manovella.
Il mais in chicchi veniva trasportato al mulino per essere macinato e trasformato in farina. La farina di mais valeva oro: chi ne aveva era davvero fortunato. La si riportava a casa in grandi sacchi di iuta che venivano poi conservati nel granaio. Mi ricordo di gente povera che passava per la nostra casa in cerca di qualcosa da mangiare. In quei casi, che mia madre ricorreva alla farina di mais per aiutare quella gente. Loro la mettevano in un sacco di stoffa consunta e se la portavano a casa per farne polenta.
Si faceva la polenta bella calda e profumata. Una volta scodellata dal paiolo (in dialetto lavedo) la si stendeva in un tagliere di legno rotondo col manico, chiamato panaro. Il sapore, il profumo, il gusto della polenta non veniva solo dal mais, ma anche dal duro lavoro che serviva per portarla sulla nostra tavola.
INGREDIENTI:
. 1 lt di Acqua
. 400 gr di Farina di Mais
. 1 cucchiaio di Sale Grosso
PROCEDIMENTO:
1. In un paiolo (o pentola a bordi alti) portare l’acqua ad ebollizione.
2. Aggiungere la farina un po’ alla volta mescolando continuamente con una frusta.
3. Una volta versata tutta la farina, continuare a mescolare per altri 5 minuti.
4. Richiudere con il coperchio.
5. Abbassare la fiamma e lasciare cuocere per un ora.
Note:
1. Dipendentemente dalla qualità della macinatura della farina, potrete ottenere una polenta più spessa o più morbida. La polenta può essere gustata estremamente densa e dura come nel Friuli Venezia Giulia, oppure morbida e cremosa come nel Veneto.
2. Una volta che la polenta sia fredda si più tagliare a fette e tostare in padella. La chiamiamo połenta blustołà. A voi la scelta.
Buon Appetito!
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